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Di neve, mandarini e stelle | A Gipsy in the Kitchen

Di neve, mandarini e stelle.

Bellavista Pas Operé
*Di Gloria Ines Colombo
Dalla finestra filtra la luce soffusa del lampione, la nebbia è scesa fitta, chiamata da una notte gelida.
Il ghiaccio sottile brilla di nero sull’asfalto. Non c’è nessuno per le strade. Ho voglia di neve, ma intanto mi accontento delle stelline d’argento che decorano i vetri, dell’albero di natale con le lucine verdi e blu e del crepitio del fuoco nel camino. Ho riempito la casa di mandarini, litchi, datteri e frutta secca. Ogni sera sembra la vigilia e la mattina, quando fuori è ancora buio, mi piace sentire l’odore della cenere fredda e della legna. Il tavolo della sala è ancora apparecchiato dalla sera prima. Sulla tovaglia di lino bianco restano gusci di noce, briciole di pane e scorze di mandarini insieme alla bottiglia di Bellavista Pas Operé. Nel frigo c’è un bicchiere di cristallo con un po’ di vino, le bollicine si sono spente ma il suo profumo è come polvere d’oro sulla magia del Natale.
Era il 1981 quando il mecenate di questa storia incontrò lo scienziato.

Vittorio Moretti – oggi anche presidente del consorzio della Franciacorta – ha sempre avuto l’istinto dell’imprenditore e la vocazione per l’enologia. Lo immagino un po’ come Lorenzo il Magnifico, capace di innamorarsi di progetti visionari, sensibile all’arte e alla bellezza. Il Signor Moretti, in più, non perde mai di vista gli obiettivi aziendali. Mattia Vezzola, chef de cave di Bellavista per oltre trent’anni, non è solo l’enologo italiano che anche all’estero ci invidiano, ma un uomo di scienza e tecnica.  Insieme a Ziliani (Berlucchi), Zanella (Ca’ del Bosco), Rabotti (Monterossa), sono stati tra i protagonisti del Rinascimento della spumantistica in Italia e hanno scritto le prime pagine di storia della Franciacorta, reinventando un territorio con la caparbietà e la leale rivalità che li ha spinti a dare sempre e solo il meglio.

Il Bellavista Pas Operé è una delle vette dei Franciacorta.
65% chardonnay 35% pinot nero. Il tempo sembra fermarsi. Passano almeno sei anni, scanditi solo dal lento operare dei lieviti.
Solo uve selezionate dei vigneti più vecchi. E si vendemmia solo quando l’uva è matura, non un secondo prima. Nel calice il giallo paglierino si accende di riflessi come i fili d’oro sull’albero di natale. Spuma bianca e bollicine sottili e ostinate.
Cedro candito, pane e burro, fiori di camomilla. Al palato la voce potente del pinot nero si fa sentire decisa, virile, regale.
Come un principe che arriva dopo le notti più fredde e buie per brillare di luce sulla favola del Natale.
Courtesy of VinitalyWineClub
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