
Quel pomeriggio in un sex shop di Tokyo
Di Cristina Buonerba
www.thelazytrotter.com
Bastano dodici ore di volo per arrivare da Milano a Tokyo. Dodici ore con il sedere in aria e le gambe comodamente infilate sotto il mento per via degli spazi striminziti dei sedili della classe economica e via, in mezza giornata arrivi dall’altra parte del mondo. Arrivi in un paese nuovo, strepitoso, fatto di mille stranezze e altrettanti dettagli.
Non si può certo dire che la prima cosa che viene in mente quando si pensa al Giappone sia il sesso. Non per noi signorine, per lo meno. O comunque non per me. Magari i maschietti avrebbero da ridire, considerando la bellezza straordinaria di alcune ragazze autoctone che portano nel sangue il fascino antico dell’arte della geisha.
Io più mi guardo intorno e più penso che no, ecco: sono fatta per la fisionomia terrona, meglio ancora se mediorientale o latina. Ma quella asiatica proprio non fa per me.
Quando penso al Giappone mi vengono in mente gli alberi di ciliegio in fiore, Hello Kitty, Marrabbio e Kiss me Licia, i triangolini di riso ricoperti da alghe, il sushi – quello vero e quello buono, non di certo quel brutto all you can eat gestito dai cinesi di cui è piena Milano. Penso alla moda e al design, alle lanterne rosse, a una bella zuppa di miso… ma di certo non penso al sesso.
Eppure.
Eppure eccomi qui a gironzolare tra le strade di Akihabara, il quartiere dei video games di Tokyo, e a perdermi tra i suoi sex shop multilivello. Ma cosa avranno in comune i video games e i sex shop, vi starete giustamente domandando?
In molti paesi del mondo nulla. Ma qui in Giappone tante, anzi, tantissime cose.
Vi è mai capitato di curiosare tra le categorie dei siti porno mentre siete alla ricerca di un po’ di inspirazione per una serata speciale solo per voi (sì, biricchine, lo so che vi è capitato) e di vedere la categoria manga?
Se ne sta lì, tra le milf, le lesbiche, il sesso a tre e le ciccione – sì, esiste una categorie anche per le oversize.
Non vi nascondo di averci cliccato su un paio di volte. Così per ridere, per curiosità, per vedere che cosa avrei trovato. Ed ecco che si sono aperte davanti ai miei occhietti ingenui e innocenti una serie di finestre di disegnini porno che mai e poi mai avrei pensato che avrebbero potuto stimolare la fantasia di un qualsiasi adulto. Ma come mi sbagliavo!
Qui a Tokyo esistono interi piani non solo di DVD, ma anche di fumetti porno in chiave manga. E la cosa mi diverte tantissimo: stiamo parlando di un paese estremamente tecnologico, dove la tavoletta del bagno si riscalda da sola appena ci si siede sopra e dove si può premere un pulsante che suona della musica di uccellini se si ha la vescica timida e non ci si vuol far sentire mentre si fa la pipì, e gli uomini – dovreste vedere quanti! – sono ancora interessati all’acquisto di DVD e giornaletti porno.
Non trovate che sia un tocco un po’ vintage che rende l’autoerotismo dei nostri amichetti nipponici particolarmente retrò?
Sapevo che entrando all’interno di un sex shop, in quanto donna e in quanto occidentale, avrei infranto una serie infinita di regole culturali, ma l’ho fatto comunque e sappiate che l’ho fatto per voi (…)
Ecco quello che ho imparato dalla mia esperienza: per prima cosa nei film porno giapponesi i genitali maschili vengono oscurati. Via libera a tette e patata, ma il pipino dei maschietti è coperto da una striscia nera. E non vi viene anche voi da pensare ma che, davero? Che gusto c’è nel vedere un porno censurato?
I giapponesi impazziscono per i manga porno. Ce ne sono di tutti i tipi. Signorine disegnate che fanno l’amore con altre signorine disegnate, ma anche signorine che vengono inchiappettate da mostri e super eroi giganti e altre robe da psico analisi collettiva.
Non contenta me ne sono andata in giro a vedere cosa offrisse il reparto gadget. In fondo si sa, quando si è in viaggio bisogna conoscere tutti gli usi e i costumi locali.
Oltre a una lunghissima serie di strizza capezzoli, allunga piselli, stringi piselli, manette, maschere e corde per il sadomaso, la mia attenzione è ricaduta su due tipi di vibratori.
Il primo: ohmiodddio. Non fosse stato che costava più di un volo Ryanair per riportarmi in Salento per le vacanze di Natale lo avrei comprato immediatamente.
Ragazze mie, la meraviglia! Morbido al tatto e sensuale nella forma, dotato di vari pulsantini che – udite udite – lo facevano muovere da solo, così che noi donzelle non dobbiamo neppure correre il rischio di farci venire il gomito del tennista a furia di… insomma, avete capito.
Leggero, maneggevole e con una punta finale dotata di vita e intelligenza propria capace di muoversi a destra e a sinistra come i migliori tentacoli di un polipo. Che ve lo dico a fare: un trionfo dei sensi.
Ho provato a fare gli occhietti dolci a uno dei tanti uomini-stipendio in giacca e cravatta che lo prendeva in mano interessato ma nulla, non ha funzionato e sono dovuta uscire a mani vuote.
Non prima, però, di aver dato uno sguardo alla seconda categoria di vibratori che mi ha sconvolta, ovvero quella manga.
Essì. Perché mai limitarsi ai fumetti se si possono mettere in commercio dei vibratori dotati di piccoli pokemon sulla parte estrema dell’aggeggio? Alzi la mano chi di voi non si eccita all’idea di infilarsi un bel pisello di gomma con tanto di Pikachu posto sull’estremità?
Insomma ragazze: tra un manga, uno strizza capezzolo e una sfera di fuoco di Dragon Ball nel posteriore sono sempre più convinta che, almeno in questo caso, per me il detto mogli e buoi dei paesi tuoi non è mai stato più apprezzato.
All’erotismo in salsa teriyaki preferisco di gran lunga quello all’olio di oliva!