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STORIE DI VINI | Home

Un’ottima annata e i suoi alleati
Della nostra Sommelier, Glora Ines Colombo
Paeriza.
Lo que el granizo no se llevó. (quello che la grandine non ci ha tolto)
La tempesta giunse come una parata notturna, soffiando, suonando le trombe e svegliando i residenti addormentati. Quando se ne andò, la quiete del paesaggio era più profonda del sonno. (Orient, C. Bollen)
Maurizio Zanella, frontman di Ca’ del Bosco, qualche anno fa mi disse che il viticoltore ha come socio di maggioranza il padreterno. Ed è Lui che ha l’ultima parola su come andrà l’annata.
Ricordando queste parole, giorni fa ho comprato la bottiglia più sfortunata del mondo.
Paeriza. Lo que el granizo no se llevó.
Vino rosso spagnolo sopravvissuto a 3 grandinate.
Non una.
Per tre volte il cielo è diventato di piombo su questo fazzoletto di terra nel cuore della Castiglia e ha scaricato la sua furia di acqua e ghiaccio, straziando le vigne e il lavoro di un’intera stagione. Con le lacrime agli occhi Samuel Cano ha vendemmiato lo stesso, salvando poco più del 20% del raccolto.
Quando Gabriele, bravissimo sommelier del ristorante Flora di Busto Arsizio, mi ha raccontato la storia di questa bottiglia non ho avuto bisogno di altro per convincermi. Non ho cercato punteggi o recensioni su google. L’ho portata a casa con me.
Siamo in Spagna, a Mota del Cuervo nella regione Castiglia-La Mancia.
In percentuali, 80 Tinto Velasco (vitigno autoctono), 20 Syrah, Graciano, Petit Verdot.
Biologico.
Macerazione e fermantazione alcolica in vasche di acciaio per 7 giorni. Fermentazione malolattica e risposo in cemento per un anno.
4000 bottiglie.
Mia sorella riconosce un vino che sa di tappo anche a chilometri. Il mio naso invece no, in particolare quando ho a che fare con i vini naturali, biologici e biodinamici, dove le sorprese olfattive sono sempre in agguato. E quindi nel dubbio chiedo sempre a mia sorella.
Sa di tappo? Cavolo sì, sa di tappo!
Il problema è il fungo chiodino (nome scientifico Armillaria mellea), un parassita della quercia da sughero che produce attraverso una reazione chimica una sostanza chiamata tricloroaniloso, meglio conosciuta come odore di cane di bagnato.
Io adoravo l’odore del mio cane nei giorni di pioggia, a distanza di anni ne ho ancora nostalgia, ma non riesco a ritrovarlo nei vini che sanno di tappo. Sento invece una fitta, una lama dolciastra che taglia tutti gli altri profumi e si infila attraverso il naso fino ad arrivare al cervello.
Volevo il vino plasmato dalle tempeste.
Volevo raccontare il riscatto di quelli che non si arrendono neanche alla volontà del padreterno. Che non importa quante siano le avversità che devono affrontare, perché cadono ma alla fine si rialzano.
Invece è la storia di un microscopico organismo, insidioso e silenzioso, che corrode da dentro, che annienta nell’ombra, più letale di mille tempeste.
Gli diamo un’altra chance? Certo :-))
Se lo volete provare, chiamate Gabriele www.floraristorante.it