
Vieni a vivere con me?
Dalla nostra redazione, il nostro Avvocato Federica Brondoni
La convivenza, in una società fondata da tempo immemore sul “matrimonio” come istituzione prima religiosa e poi civile, è un concetto tutto sommato di (relativa) recente formazione; diciamo che prima del 1960/70 la convivenza “sentimentale” era una cosa piuttosto rara, e comunque guardata con diffidenza.
Le cose, per fortuna, sono cambiate negli anni, fino a giungere ai giorni nostri, allorquando si fa anche abbastanza in fretta a proferire la ferale frase “Vieni a vivere con me?”.
La convivenza, pur potendo apparire come una situazione che si viene a creare spontaneamente tra due persone che decidono di andare a vivere sotto lo stesso tetto senza troppe formalità, in realtà dal 2016 è disciplinata dalla Legge 20 maggio 2016, n. 76 (la famosa Legge Cirinnà, che ha istituito anche le unioni civili tra persone dello stesso sesso).
Secondo tale legge, per “conviventi di fatto” si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Insomma, già una roba più strutturata rispetto a riempire la borsa con dei vestiti, infilare il gatto nel trasportino e trasferirsi a casa del fidanzato.
Quella che fino a ieri era una scelta di assoluta libertà da parte di chi non intendeva sottoporsi ai vincoli del matrimonio, né religioso né civile, diventa un rapporto che, pur instaurato in via di fatto, senza particolari cerimoniali, comporta il sorgere di diritti, ma anche di doveri, in capo a ciascuno dei conviventi.
Il tutto parte, se si intende formalizzare la convivenza, da una dichiarazione anagraficadi costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, che è possibile presentare presso ogni Comune, dove sono stati allestiti registri speciali per tale incombente. I coabitanti vengono così iscritti in un unico stato di famiglia, così come avviene (automaticamente) per i coniugi e gli uniti civilmente.
Ciò dà luogo ad una serie di diritti, tra i quali, ad esempio, in caso di malattia, il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, secondo le regole previste per i coniugi e i parenti; l’accesso alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, nel caso in cuil’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo di preferenza; il diritto al diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito del terzo, in caso di lesioni o decesso del convivente.
Dalla convivenza non nasce, invece, alcun diritto ereditario, per cui se si vuole designare quale erede il proprio compagno/a, è opportuno farlo a mezzo di un testamento scritto (il che non toglie, però, che altri eredi possano far valere il proprio diritto di legittima). Diversamente, è possibile stipulare una polizza assicurativasulla vita (che non rientra nella successione), indicando quale beneficiario il convivente.
I conviventi registrati possono anche scegliere di disciplinare i loro rapporti di vita comune attraverso un contratto di convivenza, necessariamente da redigere in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblicoo scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, da trasmettere all’anagrafe. Tale contratto potrà regolare, ad esempio, le modalità di contribuzionealle necessità della vita in comune e la scelta del regime patrimonialedella comunione dei beni.
Il contratto di convivenza può essere sciolto, nelle stesse forme della sua costituzione, per accordodelle parti, per recessounilaterale, se i conviventi decidono di contrarre matrimonio o unione civile(o se decidono di farlo con un’altra persona, ovviamente!) oppure, infine, per mortedi uno dei contraenti.
Una delle novità introdotte dalla Legge Cirinnà sta nel fatto che, nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva della persona che decide di mettere fine alla convivenza, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a 90 giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione. Insomma, niente più “esci immediatamente da questa casa!!” o sacchi della spazzatura pieni dei vestiti dell’ex lasciati sul pianerottolo!!
Attenzione perché pochissimi sanno che la cessazione della convivenza di fatto (quindi, non necessariamente formalizzata attraverso la dichiarazione all’anagrafe) produce effetti anche sui rapporti patrimoniali tra gli ex conviventi. Infatti, la Legge Cirinnà ha stabilito il diritto del convivente economicamente più debole di ricevere dall’altro gli alimenti in seguito alla cessazione della convivenza, nel solo caso, però, in cui si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Si stratta di uno strumento minimo di tutela che garantisce la parte finanziariamente più debole del rapporto, anche in relazione ai casi di c.d violenza economica di cui mi piacerebbe parlarvi in un prossimo articolo, sempre qui su A Gipsy In The Kitchen.
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