
Diario di una yogina
Dalla nostra redazione Serena Salghini
Il fiore di loto
“Io sono sempre felice”, rispose Sasha. “È che a volte me ne dimentico”. (J. Egan, Il tempo è un bastardo).
Al centro yoga quel mercoledì sera il colore del tramonto invase la stanza. L’arancione si appoggiò alle pareti tingendole di un sole caldo e calò su di noi, distesi sui nostri tappetini, discepoli fedeli dell’infinito di cui volevamo imparare la lingua ad ogni costo.
Sembrava che il mondo si fosse fermato all’improvviso, oppure eravamo noi che, immobili e silenziosi nei nostri asana ci eravamo fermati a guardarlo?
“Di solito nell’immaginario comune lo yoga è associato a movimenti faticosi ed estremi, al cosiddetto New Age…ma in pochi sanno che il principio fondante dello yoga sta nell’atteggiamento interiore, nei confronti di se stessi e della vita.”
Mentre io e i miei compagni eravamo intenti ad assumere la posizione del guerriero, cercavo di captare nell’aria le parole di Alicia, la mia insegnante brasiliana del corso del mercoledì sera.
Alicia diceva sempre le cose giuste al momento giusto, la sua era una lingua franca e paziente, diretta e discreta al tempo stesso e mi chiedevo se fosse stato lo yoga a portarla ad una tale perfezione nei modi. Quando iniziai a fare yoga non sapevo che cosa stessi cercando di preciso, ma ero decisa a trovare una luce che illuminasse come un faro gigante la parte migliore di me che dormiva sepolta da qualche parte, sotto i detriti della routine e dei pensieri che col tempo si erano radicati come baobab giganti.
“I principi di questa filosofia si chiamano yamae niyama, essi invitano ad essere consapevoli del valore della parola e inducono a parlare di meno e ad ascoltare di più. Chiedetevi sempre: sto ascoltando davvero? Se vi ascolterete con attenzione, il vostro corpo vi ringrazierà. Provateci. Ora faremo la posizione del loto, prestate attenzione al vostro corpo e a voi stessi: la state imitando o è davvero la vostra posizione?”
Suonava come una specie di trappola, ma imparai che nello yoga avviene tutto dolcemente, senza inganni.
Cercai di assumere la posizione che Alicia ci mostrava con grazia: “Nella posizione del loto ci sono delle varianti più semplici da eseguire, starà a voi scegliere quella più adatta al vostro corpo. Nello yoga farsi del male non è previsto.” – lo disse con un mezzo sorriso, come se avesse sbirciato segretamente nella vita di ognuno di noi.
Scegliere ciò che era più adatto per ognuno di noi. Detta così sembrava una passeggiata, ma a me sembrava impossibile, nello yoga così come nella vita.
Alla fine optai per Sukhasana, la posizione più semplice, ma quando incrociavo le gambe le caviglie mi facevano male. Per evitare il dolore, ad un tratto spinsi inconsciamente il bacino in avanti: così, flettendosi leggermente, i miei piedi sostenevano le ginocchia senza sforzo. Al contrario di ogni mia aspettativa scoprii che il corpo vuole stare bene, che esiste dentro di noi una forza innata che lotta per l’armonia.
Rimasi così per alcuni secondi, poi portai i polsi sulle ginocchia, i palmi rivolti verso l’alto con indice e pollice che si toccavano.
Ascoltai il mio corpo raccolto nel silenzio dell’asana, chiusi gli occhi ed inspirai profondamente.
Forse, stavo iniziando a trovare la mia posizione.