Do you really care if internet doesn’t like you…?

E’ un po’ che non scrivo. Perché ho la cattiva abitudine di dare retta al mio cervello: va a 100000 km orari e qualsiasi cosa o idea pensi, ho l’impellente necessità di fare e sbrigare.
Così nel mezzo della giornata le ore passano tra preparare le pappe ai miei pelosi, cucinare nuove ricette per il blog, rispondere alle mail, a volte occuparmi del mio giardinaggio, trovare il tempo per l’amministrazione, comprare compulsivamente su Amazon, rispondere ai whatzup e impegnarmi nel trovare delle scuse valide per non rispondere alle chiamate di mia mamma – scherzo mamma.
Non si può fare tutto, lo so, ma mi piace l’idea di provare a fare tutto.
Ad esempio in questo istante sono davanti al mio computer ma penso all’aspirapolvere che vorrei passare: ho una fissazione malsana per le briciole.
Sto anche pensando al prossimo libro da scrivere – e mentre pensavo a quello mi è apparsa la protagonista di un nuovo racconto.
Per non parlare del mio armadio, che vorrei svuotare donare tutto in beneficenza per ricomprare tutto perché in fondo lo stile cambia con noi. uno non può avere uno stile fisso tutta la vita, non credete?Non siamo tutte Audrey. Siamo bensì cresciute al ritmo dei tacchi di Carrie e il suo guardaroba cambiava con la stessa velocità con cui impasto una frolla. Peccato lei avesse fior fiori di stylist che si occupavano dei resi degli abiti ai vari showroom.

Io così non mi riposo mai. Questo è.
E’ estenuante il ritmo dei miei pensieri, delle cose che voglio fare, dove voglio arrivare.
(Pausa: mi sono abbonata al newyorker da due settimane, perché non è ancora arrivato?Mando una mail di sollecito)

Il fatto vero però, la costante è che io so scrivere. E so scrivere bene perché è la mia catarsi e forse non farlo mi genera frustrazione. Vorrei promettere qui e ora di alzami prima e scrivere di nuovo questo magazine come un diario, come facevo agli inizi. Ci provo, per quanto è possibile.

Oggi voglio parlare di qualcosa che mi ha sorpreso nel mezzo di un documentario su Taylor Swift.
Sono molto fatalista: credo che leggiamo, vediamo, ascoltiamo cose nel momento in cui abbiamo necessità di sentirle, vederle, farle nostre insomma.

E’ stato un gennaio pesante. Straordinario per la prima settimana, dove siamo stati nella mia adorata New York, ma poi… E’ stato un gennaio difficile, pieno di piccole e grandi complicazioni.Per la prima volta due persone sono state male dopo aver cenato qui, non ho visto mio papà, mia madre è di nuovo nella depressione più nera, Baku ha avuto per 10 giorni di fila la gastrite, abbiamo litigato per dieci giorni di fila con i vicini che hanno trasformato la loro casa sotto di noi in un ritrovo di gente amante di musica tecno. I nostri vicini amici invece hanno trovato casa e se ne vanno. A gennaio poi c’è sempre meno lavoro e pensi sempre troppo. Il che a volte può essere un bene ma altre volte invece no.
Abbiamo dovuto cancellare il nostro trattamento IVF perché la mia tiroide mi appiccicava al muro da tanto era alta. Abbiamo subito due lutti, improvvisi. Che sebbene non si trattasse di persone a noi prossime, erano anime della nostra cerchia, e la morte improvvisa è qualcosa che mi lascia sempre basita, attonita.
I pensieri – tanto per cambiare – corrono veloci e mi chiedo cosa preferirei io. Questi pensieri li faccio- d’altronde sono colei che va a leggere il finale del libro in lettura che non si sa mai…Mi chiedo spesso se sarebbe meglio andarmene improvvisamente o avere il tempo di sistemare le cose, salutare, abbracciare per l’ultima volta chi amo?Sono tre a dire il vero le cose che mi angosciano di più.
La prima è il conto in banca: ora come ora non credo potrei lasciare niente di sostanzioso a chi amo. Ecco se dovessi andarmene mi piacerebbe che la casa di Lanzo rimanesse al mio gitano. So che li troverebbe rifugio e se esiste un Al di Là, io sarei un fantasmino che gira proprio lì, in sua protezione. Chiaramente spaventerei a morte qualsiasi bionda gli si possa avvicinare, ma questo è un altro discorso.Mi piacerebbe saperlo al caldo e protetto lì, tra i ricordi di dove sono cresciuta, tra le montagne.
La seconda riguarda i miei Brie e Baku: mi aspetterebbero per sempre?Come potrebbero capire..?Il pensiero della loro attesa eterna e del mio disilluderli involontariamente mi aliena.
La terza l’avevo in mente poco fa, ma non me la ricordo più.

Comunque sia, un gennaio pesante stavo dicendo. Domenica ho letto una recensione che è stata fatta sul nostro ultimo libro. Non era appagante. Per nulla direi. Anzi il focus della negatività di questa recensione era proprio sulla mia scrittura, definita troppo colloquiale e piena di refusi.

SBAM.
per una che cerca sempre l’approvazione, ammetto che leggere nero su etere questo è stata una manata a cinque dita.
Che strani esseri che siamo. Una recensione negativa riesce a cancellare la gioia di tutte le altre recensioni positive.
Siamo fatti così – mi sarebbe piaciuto che quando guardavo il cartone animato siamo fatti così, insieme a spiegare i globuli rossi e quelli bianchi avessero fatto una puntata speciale sui trick del nostro cervello.

( ennesima notifica di newsletter di JCrew.Sto facendomi violenza per non fare dello shopping online.Dovrei meritarmi un cachemirino color lavanda per questo)

In tutto questo mio divagare con assoluta nonchalance tra scaffali virtuali di amazon e liste di desideri di abiti che mai userò, il mio pensiero fisso  rimane uno solo: do you really care if internet doesn’t like you today if your mum is sick?

( fyi: mi parlo in inglese nella testa per sentirmi ancora newyorker come anni fa..)

La risposta a questa domanda è no. La risposta a questa domanda rimane sempre no.
Troppo spesso in questi anni in cui i Social Media fanno da imperatori, ci rendiamo umili servi del nostro Ego. Lasciamo che un like determini un sorriso, e un commento negativo fatto da qualche hater che ha costruito un account falso apposta diventa il nostro nuovo metro di giudizio per raccontare chi siamo.
Perdiamo ore in raccontare vite vissute attraverso uno schermo, e soffiamo tutti di ansia compulsiva di postare, perché se posto, sono.
Fissiamo sveglie per andare online con la foto che il cliente ha chiesto, diventiamo sempre meno spontanei e più costruiti – se siamo stanchi che importanza ha?C’è un filtro a disposizione che può aiutarci.

Tutto ciò non è sbagliato, ma non va bene. Motivo per il quale mi sono auto imposta orari.
Al mattino guardo il telefono solo DOPO la passeggiata con Brie e Baku. Cerco di smettere di guardare email e schermo prima di cena.Ho imposto dei limiti alle app perché altrimenti non riuscivo a autogestirmi.

Io ci rimango male ad ogni commenti cattivo. Ci rimango male quando il contrasto diventa odio.
E questo è un assunto.
Tuttavia non riesco a smettere di chiedermi: ha davvero importanza questo?Ha davvero importanza pensando a ciò che davvero conta?

Ciò che conta davvero: me lo chiedo spesso.
Amo il mio compagno al di sopra di qualsiasi cosa e i mie cagnoni sono per me fonte di linfa vitale.Ma per essere quella deliziosa moglie e mamma che loro amano, devo riuscire a essere in equilibrio.
E l’equilibrio è scandito dal ritmo dell’amore che provo per me. E che non sempre è forte. Anzi ammetto che è da tanto che non credo di amarmi come merito. E’ da tanto che lascio che troppe persone mi asfaltino con le loro richieste/esigenze/necessità. E’ da troppo tempo che non sento la mia voce.
Trovo l’amore che provo per me nell’amore che il Gitano mi fa sentire. Trovo l’amore per me nelle leccatine di B&B.
Ma devo andare più a fondo. Devo farmi più bagni caldi ( note to self: c’è tutto un reparto bath and bubbles su Cult beauty da svaligiare) e ricordarmi di non oppormi alle mie emozioni- anche quelle più dolorose che sembrano più orrende. Non lo sono perché vengono da me, fanno parte di me. Devo accoglierle e lasciarle andare.
devo fare più yoga e devo camminare di più.
Devo smettere la mia ossessiva tricotillomania e andare di più dal parrucchiere. Devo svegliarmi prima e andare a letto prima, possibilmente con pigiami di seta che mi facciano sentire un umano – si fa freddo, posso mettere maglioncioni sopra il pigiama di seta, but still..

E soprattutto devo ricordarmi di mettere tutto in prospettiva. Mi interessa davvero quello che internet pensa di me quando ho la mia mamma che non sta bene?Quando mia sorella lotta per la sua felicità?Quando la mia tiroide cerca di parlarmi tramite attacchi di palpitazioni eccessivi?Quando l’unica cosa che davvero conta è proteggere chi amo e la mia famiglia?

Torniamo alle basi. Torniamo a prima che internet esistesse, che si scoprissero tradimenti via social media e che le persone si conoscevano guardandosi negli occhi e non mettendo una spunta su Tinder. Torniamo a quando la domenica a pranzo non si vedeva l’ora di sedersi al tavolo per mangiare il brasato della nonna e non per fare le foto da postare nelle stories. Torniamo a raccontare storie vere, condividiamo informazioni utili, aggreghiamoci. Smettiamola di pensare di fare la rivoluzione e di cambiare il mondo denigrando l’altro.
Torniamo a guardare internet come un meraviglioso mondo portatore di notizie, di shopping online  e di tante bellissime cose, parole, pensieri ma le emozioni lasciamole al mondo reale.
Permettiamoci di avere l’ansia perché arriva la bolletta del riscaldamento e non perché ho meno followers di qualcun’altra.

Ho bisogno di mare, di una settimana di quelle fatte di sole intenso e massaggi e libri.Ho bisogno di cibo messicano e di una pizza, di un bicchiere di vino bianco e del latte di avena da montare nel mio cappuccino.

Ho bisogno soprattutto ora di uscire in tempo da record dal pigiama da casa e lavarmi i denti e presentarmi all’appuntamento delle 15.Che ci tocca fare per campare.

A domani, quando vi racconterò della mia chicchissima tiroide che ad ora mi sta costando quasi più di una 2.55 di Chanel.

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