un piatto di noodles fumanti, un nuovo plaid dell’ikea, un account amazon prime e una spalla su cui piangere.

Do you really care if internet doesn’t like you when your soul is tired?

Sono stanca. Sono giornate in cui mi sveglio esausta. Porto fuori brie e baku e mi esaurisco perché Baku non vuole uscire e tra un martoriarmi all’idea che possa essere stata colpa mia – ho un master in sensi di colpa per il quale devo ringraziare l’educazione cattolica con cui sono stata allevata – e un cercare di non rimetterci ginocchia e giunture da quanto tira Baku, arrivo sfranta.
Prendo il mio tiche e cucino per la truppa: cappucci per noi, per B&B siamo nel periodo lonza bollita in brodo di finocchi e verza con zucca. Non so perché in un attimo è l’una e non capisco dove vadano le ore.
Comincio a lavorare che ho già voglia di tornare a letto. Ho proprio sonno.
Oggi ho dormito un’ora nel pomeriggio.

Credo senza ombra di dubbio possa essere un principio di letargo che il mio corpo metabolizza male perché qui a Milano le temperature non sono invernali ma da primavera.
Ho proposte bellicose ogni giorno sulla mia lista di cose da fare ma ad esempio oggi credo sia già tanto riuscire a arrivare a fine giornata.
Forse va bene così: ci sono giornate così. Forse bisogna smettere di vergognarcene ed accettarle per quello che sono: ovvero niente, parentesi di riposo in una vita in cui siamo noi le prime a non darci tregua.

A permettere al cellulare di squillare con email ogni momento del giorno e della notte, ad esempio. A permettere alle nostre elucubrazioni di avere la meglio sui pensieri di meditazione che invece dovremmo obbligarci a fare, ma giuro che io ogni volta che provo a meditare o mi addormento o inizio a pensare alle 10 cose che devo fare nei prossimi dieci secondi.

Semplicemente quando siamo stanchi, dovremmo permetterci e legittimarci.

Legittimare la nostra necessità di fare nulla. Anche legittimare di stare a fissare il muro senza grandi pretese, o uscire con i propri cani e sedersi con la faccia al sole per mezz’ora senza in realtà prestare troppa attenzione al circondario, compreso B&B che magari si magnano l’intero bosco di legni ecco.
E va bene così, senza sentirci in colpa.

Prendiamoci i nostri tempi. Tutti lo fanno, e anzi ci fanno spesso sentire come delle cacche perché ci sentiamo trascurati dal loro non prioritizzarci.
Vi faccio un esempio, perché mi rendo conto di divagare.
Mio padre ieri sera ci aveva invitati a cena. Sono circa due mesi che non lo vedo sebbene abiti a 10 minuti da noi. Io ero distrutta dal weekend di lavoro ma non mi ero legittimata questa stanchezza: ero pronta a uscire nonostante uscire a mangiare un pizza avrebbe voluto dire prendere freddo, e abbandonare il porto sicuro del nostro divano, una maratona di film hallmark su netflix e i cioccolatini al peanut butter. Squila il telefono circa un’ora prima dell’appuntamento: mio padre cancella perchè deve guardare il derby con mio fratello.
Ora perché lui può senza troppi sensi di colpa proritizzare ciò che gli fa bene e io invece debbo mettere all’ultimo posto della mia scala gerarchica le mie necessità?

Altro esempio, lampante.
Mia sorella Bianca a dicembre si lascia con il fidanzato. A dicembre io entro in esaurimento nervoso – più o meno in concomitanza con il suo “dramma” perché per l’ennesima volta la stimolazione ormonale non è andata bene e le mie beta sono fisse a <1 che manco l’Everest è mai stato così ancorato. Le scrivo e le offro tutto il mio sostegno. Chat su chat. Le dico anche: sai bianca anche io ho bisogno di sentirti vicina perché per l’ennesima volta la fivet è stato un fiasco.
Mi ha risposto via sms: mi dispiace ma devo solo pensare a me stessa in questo momento.
Ora anche io avrei avuto più beneficio a crogiolarmi nella mia disperazione piuttosto che passare ore di chat e conversazioni e pensieri per lei.Lei con tutta onestà ha messo subito in chiaro che non aveva alcuna voglia di sorbirsi le mie menate.
Dovremmo imparare tutti da lei, dalla sfrontatezza forse dei suoi vent’anni.

Ora, piccola nota a latere: ciò che la mia famiglia è- o non è stata- mi ha reso ciò che sono. E per quanto dolore ogni volta mi colpisca quando sento di non appartenere a una famiglia mi coglie, so anche che proprio tutto questo bagaglio di sofferenza mi ha reso nel bene e nel male ciò che sono. Me lo dice sempre il mio gitano e me lo dice tenendomi stretta, così stretta che io ci credo. Non voglio essere compatita ma voglio darvi una visione diversa di ciò che può essere definito dolore.Non sempre davvero tutto il male viene per nuocere. Mi piace credere che venga per insegnarci.

L’anima stanca. L’anima si stanca dalle continue non gentilezze. Sia quelle che non le riserviamo, sia quelle che subiamo.
Io ci rimango male, per credo qualsiasi cosa.Non so se sia colpa del mio essere fortuitamente nave o del mio essere tremendamente permalosa.
So che però se mi saluti con meno enfasi io sto male.
So che però se debbo difendere con le unghie e con i denti ciò che faccio da un cliente che vuole imporre la sua visione, io per quanto possa sembrare un leone poi sto male.
Interiorizzo. Interiorizzo così tanto che ho paura che mi venga qualcosa di brutto ed è per quello che la mia rabbia la sfogo piangendo. Così che tutte le emozioni escano.

Siamo tutti fottutamente umani e come tali sbagliamo eppure siamo tutti pronti a puntare il dito, ad aggredire, a non tollerare l’errore quando ci dimentichiamo troppo spesso di guardare la trave nei nostri occhi.
Dobbiamo imparare a legittimare e legittimarci. Morbidezza nelle reazioni.Accoglienza negli sbagli.Indulgenza nelle azioni.

Che faticah.

Atti di gentilezza: io mi sento bene quando ne faccio, eppure mi sembra sempre di non farne mai abbastanza.
Eppure a volte è così svilente perché non ricevi mai un grazie ma d’altronde la gratitudine è un problema dell’altro, non nostro.

Però vorrei fare di più. Essere di più Aiutare di più. Ascoltare di più. Essere più partecipe delle vite di chi amo anche se loro pensano di non aver bisogno di me: abbiamo tutti bisogno di un piatto di noodles fumanti, un nuovo plaid dell’ikea, un account amazon prime e una spalla su cui piangere.

Alla fine si riduce tutta lì la questione: vuoi essere la protagonista di un film hallmark o l’opinionista di un talk show Barbara D’Urso style?

Io voglio essere  la protagonista di un film hallmark. Sia perché le cittadine dove si svolgono sono sempre belle e sempre in autunno e le protagoniste hanno sempre degli outfit J Crew, sia perché alla fine mettendomi la mano sul cuore riesco ad ascoltare ciò che la mia anima mi sussurra tramite i battiti: la vita è una sola, vogliamo davvero sprecare le nostre energie ad arrabbiarci, a controbattere e farne tutta una questione di principio, per buona pace degli avvocati?

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